MACERATA - È arrivato il giorno della verità per il delitto di Pamela Mastropietro, la 18enne romana allontanatasi dalla comunità Pars di Corridonia e i cui resti furono ritrovati in due trolley nel gennaio di sei anni fa a Casette Verdini. Oggi l'udienza, fissata in Cassazione, per Innocent Oseghale, già condannato in via definitiva per aver ucciso e fatto a pezzi Pamela Mastropietro, e per il quale è attesa la sentenza definitiva sulla sola aggravante della violenza sessuale, da cui dipenderà la conferma o meno dell’ergastolo.
Un giorno atteso da tempo da Alessandra Verni, la mamma coraggio della 18enne che in questi anni non si è mai arresa e ha continuato a chiedere giustizia per il barbaro omicidio della figlia.
L’attesa
«Mi aspetto che venga confermato l'ergastolo, ma poi la battaglia andrà avanti», aveva già detto la donna aspettando questo giorno in cui potrebbe essere messa la parola fine alla lunga battaglia giudiziaria sulla morte della giovane.
Il sit-in
Intanto però l’attenzione è rivolta alla giornata di oggi: è stato anche organizzato un sit-in alle 9.30 in piazza Cavour a Roma in attesa della sentenza. Nei giorni scorsi, sui social, ha annunciato la sua partecipazione anche Pietro Orlandi (fratello di Emanuela, scomparsa a Roma nel 1983, ndr). «Quello di Pamela è il femminicidio più terrificante che ci sia mai stato - ha detto Orlandi durante un’altra manifestazione invitando i presenti a partecipare al sit-in di stamattina -. Sono anni che questa madre vuole giustizia al 100 per cento e non riesce ad averla, perché c'è sempre un cavillo da parte della difesa che prolunga l'attesa. Nell’attesa dell’ultimo atto io sarò con la mamma di Pamela perché è giusto aiutare tutti ed essere solidali con tutti. Io non riuscirò mai a mettermi nei suoi panni».
Le foto
Nei giorni scorsi Alessandra Verni aveva pubblicato su Facebook le foto choc dei resti della figlia, che raccontano il macabro scempio sul corpo della ragazza, che fu depezzata, decapitata, asportata degli organi e alcune parti lavate con la candeggina. Verni, al processo d’appello bis di Perugia sull’aggravante della violenza sessuale, indossò una maglietta con le immagini del modo in cui la 18enne era stata ridotta per poi spiegare: «Come si fa a mettere in discussione la violenza sessuale, in un contesto demoniaco nel quale mia figlia è stata uccisa?».