Il braccio bionico di Michele è in vetroresina, carbonio e titanio e pesa circa tre chili; la mano artificiale ha dita poliarticolate e le posizioni del pollice sono selezionabili con sensore integrato.
«Non siamo una coppia di disabili, piuttosto direi una coppia bionica, che ama la vita. E così ci vede la gente», racconta. Quando si sono incontrati, Michele aveva trent’anni e andava spesso a Budrio dalla Sicilia, dove viveva. Fu conquistato dalla dolcezza di Daniela che, a soli diciassette anni, aveva subito l’amputazione delle gambe dopo essere stata investita da un’auto. Dopo il matrimonio, celebrato nel 2007, sono arrivate due bambine, Giulia e Martina, che oggi hanno otto e due anni. Della famiglia si occupa Daniela, Michele lavora come disegnatore meccanico presso un’azienda. «Sono responsabile di produzione macchina a controllo numerico in una azienda, un ruolo importante, e questo anche grazie all’Inail che, in passato, mi ha proposto di frequentare un corso di Autocad», dice ancora Specchiale.
L’altra grande passione di Michele è quella per la musica. «Ho un piccolo studio a casa, dove suono ogni giorno, e faccio il dj in serate e manifestazioni». Quest’anno il Comitato italiano paralimpico l’ha scelto come dj ufficiale del primo festival della cultura paralimpica, organizzato a Roma lo scorso dicembre. «Quando mi chiamano a suonare nei locali - racconta ancora dj Miky - sono sempre felice. La mia protesi è eccezionale, tutta tatuata con colori sgargianti! Mi fa piacere poterla mostrare».
La storia d’amore di Michele e Daniela è resa ancor più speciale dalla voglia di aiutare chi ha subito un’amputazione e deve reinventarsi una nuova vita. «Io e mia moglie, per quanto è possibile - rivela Michele - cerchiamo di aiutare gli altri, chi non sa come le protesi possano facilitare la vita. Di recente siamo andati a trovare in ospedale un ragazzo che ha perso un braccio. Io gli ho mostrato la mia mano e il mio braccio, sperando di poter, in qualche modo e anche solo per una piccolissima parte, alleviare il suo dolore. E far vedere concretamente, come si vive e cosa si può fare con le protesi. Gli ho detto di non arrendersi mai, perché per andare avanti è necessario lottare e inseguire i propri sogni».
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