L'ultima telefonata dei napoletani scomparsi in Messico

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Nel mistero che avvolge la sorte di tre napoletani scomparsi da 18 giorni in una oscura periferia del Messico, e che ha mobilitato anche la Farnesina, si intersecano due fili oscuri ed un terzo, il cui colore schiarisce solo perché alimentato dalla speranza.

Il primo è quello nerissimo della paura. Diciotto giorni di silenzio - in un Paese nel quale la vita degli uomini vale poco o nulla, in una nazione in cui imperversano le più efferate bande di criminali e narcotrafficanti, lungo paralleli solcati da violenze inaudite e dove il sequestro di persona rappresenta una fonte di guadagno che non trova pari al mondo - diciotto giorni senza una notizia, un labile segnale incoraggiante sono un macigno insopportabile.
Il secondo filo è quello - semmai ancor più inquietante - che porta al commercio dei generatori elettrici. Se il rumore di fondo non fosse una nota monocorde e angosciante, la circostanza potrebbe indurre addirittura a sorridere. Così non è. Perché dietro il lavoro dei napoletani che hanno scelto il Paese centroamericano per sbarcare il lunario - e non sono pochi, scopriamo oggi - si cela il mistero di altre due scomparse. Meglio, di due tragedie.

Due casi mai risolti. Il primo risale al novembre 2013: quando un ragazzo di Ponticelli - Ciro Poli, 21 anni - decide si fare il grande salto, trasferendosi a Monterrey. Lì inizia a vendere generatori elettrici. Gli affari cominciano ad andare a gonfie vele, lui si ammazza per 12 ore al giorno e si crea anche una solida rete di clienti. Conosce anche una ragazza, della quale si innamora e dalla quale avrà anche un figlio. Poi, però, all’alba del 5 novembre il suo corpo viene ritrovato carbonizzato all’interno della sua auto. Un colpo di sonno? Un incidente? O che altro?
Un anno dopo - il due ottobre del 2014 - accade un altro episodio che richiama da vicino quello dei tre napoletani scomparsi nel nulla a Ciudad de Guzman il 31 gennaio scorso. A far perdere di sé ogni traccia stavolta è Roberto Molinaro, 36 anni, residente nella zona del Lavinaio di piazza Mercato. Guarda caso, anche lui era volato in Messico per vendere generatori elettrici.


Dopo qualche giorno, non riuscendo ad avere alcun contatto telefonico, i familiari lanciano l’allarme. Era partito da Fiumicino l’11 settembre e si era trasferito a Veracruz. Una storia che sembra stampata in fotocopia a quella di Raffaele e Antonio Russo e di Vincenzo Cimmino. Sulle tracce di Roberto si sono lanciati, per anni, i genitori, i fratelli e la fidanzata. Senza ottenere risposte. Desaparecido. Ma come fa una persona a svanire nel nulla? 
A rendere ancora più inquietante la storia c’è un particolare: il 4 ottobre, e cioè almeno quarantott’ore dopo che del 36enne si erano perse le tracce - qualcuno utilizza la sua carta di credito. Ci sono le tracce di numerosi acquisti effettuati in un supermercato, prima che si provveda a bloccarla. Anche Molinaro commerciava in generatori per la corrente elettrica un business, a quanto pare in Messico come pure in molti altre nazioni centro e sudamericane, ma anche in Africa (altra meta di recente privilegiata dai «magliari» napoletani).

E così come fa Raffaele Russo e i suoi familiari spariti a fine gennaio, Roberto Molinaro parlava correntemente la lingua spagnola. Alloggiava in un albergo di una zona centrale di Veracruz, centro messicano di oltre 500 mila abitanti, ed aveva noleggiato un’auto, che non venne mai più ritrovata. L’ultima volta sarebbe stato avvistato a Paso del Toro, piccolo centro ad una quindicina di chilometri da Veracruz, il primo ottobre. Poi, più nulla. Fino ad oggi.
C’è addirittura un terzo caso che vede coinvolto un altro napoletano morto in circostanze a dir poco misteriose in Messico. Si chiamava Filippo Guarracino, aveva 30 anni e la sua vita si interruppe tragicamente a Cancun. Una vicenda sulla quale le autorità messicane non hanno mai fatto veramente chiarezza.

Figlio di buona famiglia, descritto come un giovane assennato e senza grilli per la testa, Filippo morì per le conseguenze di un violentissimo pestaggio che - stando ad alcune piste precise - sarebbe stato scatenato da uomini in divisa. Probabilmente agenti di polizia corrotti che, dopo averlo sequestrato con una scusa, avrebbero tentato di estorcergli 600 euro. Era l’aprile del 2004. Guarracino avrebbe telefonato più volte alla sorella Mina, terrorizzato: sostenendo di voler rientrare subito in Italia perché si sentiva minacciato da alcuni poliziotti che avevano preteso da lui la somma di denaro. Versione confermata anche da un amico di famiglia, che pure venne contattato al telefono da Filippo. «Una notte ricevemmo la sua telefonata - riferì il testimone - Era stato appena derubato dei documenti, era spaventatissimo, ma non ci spiegò il perché. Ci chiese soltanto dei numeri telefonici di altri amici napoletani».

Filippo Guarracino rientrò a Napoli in una cassa di zinco. Nemmeno fu possibile eseguire l’autopsia sul suo corpo. In Messico qualcuno aveva provveduto a far sparire tutti i suoi organi interni. La famiglia ancor oggi attende verità e giustizia.